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Nell’esercizio della professione di logopedista mi rapporto frequentemente con termini quali comunicazione, linguaggio, modalità espressive, ma cosa intendiamo per comunicazione?
La comunicazione è la capacità propria dell’individuo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente circostante, ovvero la possibilità, attraverso l’uso di svariati mezzi, di stabilire relazioni costanti tra le idee, i suoni, i gesti, una figura o un disegno qualunque.
Il mezzo più complesso di cui l’uomo si serve per comunicare è il linguaggio. In senso etimologico questa parola indica il “fare segni mediante la lingua”, ma da un punto di vista più ampio, il linguaggio è la capacità generale di inviare messaggi, che si faccia uso o no della lingua. Ogni sistema di segni che esprime idee in maniera più o meno intellegibile, più o meno perfetta, più o meno rapida, è un linguaggio. Per mezzo del linguaggio l’uomo invia messaggi all’ambiente, e quest’ultimo a sua volta trasmette messaggi che l’uomo è in grado di interpretare.
Sin dai primi attimi di vita un neonato sano invia messaggi al mondo esterno: si tratta di meccanismi pre-verbali che il bambino non sa ancora controllare. Il successivo, costante rapporto con la madre, gli incroci di sguardi, i vocalizzi, la lallazione, la ripetizione di suoni e soprattutto l’integrità del SNC, sono elementi basilari per l’acquisizione del linguaggio verbale. Ancora, la reciprocità linguistica, per cui la madre fa eco ai suoni prodotti dal bambino, incoraggia quest’ultimo a verbalizzare sempre più fino a fargli capire che quanto egli dice ha un significato. Tutto ciò rinforza positivamente ed in modo sempre più completo, l’apprendimento linguistico.
Svariate cause possono essere all’origine di un disturbo nell’espressione del linguaggio verbale. Troppe volte il disturbo del linguaggio rappresenta l’aspetto più evidente, la punta di un iceberg, un segnale di altre difficoltà nelle dinamiche familiari e/o socioeconomiche e culturali che circondano il bambino.
In questo contesto vorrei sottolineare l’importanza dell’atteggiamento di ascolto. Per atteggiamento di ascolto si intende la capacità di fermarsi, di abbandonarsi alle proposte dell’altro, per poter vivere la pausa come un’attesa carica comunque di significato. È il succedersi delle attese e dei momenti di attività che consente di scoprire il valore di un significato condiviso, cioè di una comunicazione.
Tra i primi obiettivi di un programma riabilitativo c’è quello di stabilire una relazione significativa con il bambino. Il significato della comunicazione è infatti strettamente connesso con la possibilità di condividere un’esperienza in uno scambio dialettico. È fondamentale “essere se stessi”, le proprie azioni devono corrispondere ai propri sentimenti, non ci può essere discordanza fra quello che si dice e quello che si fa, altrimenti emergerà, ben presto, l’inutilità del rapporto, la mancanza di collaborazione, di fiducia, di rispetto da parte del bambino.
La mancanza di tali elementi non permette infatti di ottenere la motivazione, come impulso alla comunicazione; punto di partenza della terapia che ha come obiettivo stimolare e rafforzare le potenzialità presenti nel bambino, favorendo lo sviluppo armonico della sua personalità, nella piena consapevolezza delle proprie possibilità.